sabato 31 gennaio 2015

LA VERA DEMOCRAZIA: DISCORSO DI PERICLE (ATTUALISSIMO)

Nel 461 PERICLE parlava così al popolo ateniese.
Abbiamo molto da imparare, noi ed i nostri politici.


Pericle - Discorso agli Ateniesi, 461 a.C.: 

Qui ad Atene noi facciamo così.
 Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene chiamato democrazia.
 Qui ad Atene noi facciamo così.
 Le leggi qui assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti dell’eccellenza.
 Quando un cittadino si distingue, allora esso sarà, a preferenza di altri, chiamato a servire lo Stato, ma non come un atto di privilegio, come una ricompensa al merito, e la povertà non costituisce un impedimento.
 Qui ad Atene noi facciamo così.
 La libertà di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana; noi non siamo sospettosi l’uno dell’altro e non infastidiamo mai il nostro prossimo se al nostro prossimo piace vivere a modo suo.
 Noi siamo liberi, liberi di vivere proprio come ci piace e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi pericolo.
 Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private.
 Qui ad Atene noi facciamo così.
 Ci è stato insegnato di rispettare i magistrati, e ci è stato insegnato anche di rispettare le leggi e di non dimenticare mai che dobbiamo proteggere coloro che ricevono offesa.
 E ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte che risiedono nell’universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è buon senso.
 Qui ad Atene noi facciamo così.
 Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e benchè in pochi siano in grado di dare vita ad una politica, beh tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla.
 Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia.
 Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la libertà sia solo il frutto del valore.
 Insomma, io proclamo che Atene è la scuola dell’Ellade e che ogni ateniese cresce sviluppando in sé una felice versalità, la fiducia in se stesso, la prontezza a fronteggiare qualsiasi situazione ed è per questo che la nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero.
 Qui ad Atene noi facciamo così.

MEDITATE POLITICI, MEDITATE

martedì 20 gennaio 2015

TEATRO DA LEGGERE: “CRONACHE SPOGLIE DI UNO PSICONAUTA”: IN TREDICI SEQUENZE E DUE TEMPI


Stavolta ho voluto divertirmi con il teatro. Ho scritto un testo quasi surreale, dalle atmosfere rarefatte, con un'ampia gamma di registri e toni. Il risultato è questo: Cronache spoglie di uno psiconauta
Cos'è uno psiconauta? Ad onta del nome che parrebbe richiamare in linea diretta i manicomi et similia, la psiconautica è una scienza che studia i fenomeni psichici durante la fase di delirio o di alterazione dei sensi di un soggetto, alterazione spesso indotta artificialmente da sostanze psicoreattive. 
Non è il nostro caso in senso stretto. O forse sì, nel senso che sempre di una situazione di delirio si tratta, in cui lo spirito, la psiche naviga errabonda, deformando lo spettro di interrelazione con chi ci circonda, quasi in un'altra dimensione rispetto alla realtà fisica. 
Cronache spoglie prosegue la scia di "Tutta colpa della libertà" per un teatro non solo da recitare, ma da leggere. 
Ecco lo "strillo" di quarta: "una tragicommedia o, forse, una meta tragedia in cui Adelmo e gli altri comprimari, alla ricerca di complicati equilibri relazionali, sono costretti a fare i conti con la propria coscienza e con le proprie passioni, intersecando la narrazione a stridenti contrasti di spiccato freudismo, in cui la follia non è mai tale o fine a se stessa.
Nelle sequenze, dinamismi ancorati alla fissità della scena, si alternano momenti di ilarità pura, frammisti a schegge di sofferenza alienante ed a momenti di puro sconforto. E’ un testo che porta a riflettere lo spettatore, coinvolto e costretto, come un inutile deus ex machina, ad assolvere o condannare i protagonisti di una quotidianità esasperata che si proietta al di là del palcoscenico.
Nulla appare scontato in una trama che sa emozionare e rimane sospesa, catturata da un intreccio di matura drammaticità."
La struttura del dramma è governata da metafore musicali, dal prologo (“Due battute per il “la”) sino alla cadenza ritmica della recitazione assegnata ai tempi (“Adagio ma non troppo” il primo tempo, “Andante ostinato” il secondo) che dividono le sequenze.
Un’occhiata alla trama della piece.
Adelmo è indifferente, cinico, dissoluto.  Spregevolmente egoista.
Disteso su un letto d’ospedale a seguito di un incidente, è assistito dalla sorella Laura, una schizofrenica. Vera o falsa non importa.
Il migliore amico di Adelmo è Ermes, un ateo materialista, un gaudente, che nel vedere Adelmo immobile nel suo coma, matura una depressione paradossale, figurando tragicomici e parossistici istinti suicidi destinati a naufragare uno dietro l’altro.
Ma Adelmo è vivo.  Sente, ragiona, pensa, penetra sin dentro l’anima delle persone.
Irene ha amato Adelmo e, forse, lo ama ancora. Lui l’ha tradita ed abbandonata più volte, arrivando a carpirle dei soldi e facendo fallire l’azienda del padre. E’ madre di un figlio, visita Adelmo e finalmente riesce a confidargli l’inconfessabile, a lui che è sempre stato freddo alle sue parole ed insensibile ai suoi sentimenti.
Nonostante i tentativi di ridestarlo di Fusco, un medico sofferto ed enigmatico, Adelmo rimane nel suo mondo, sprofondato in quell’annegamento dei sensi che lo proietta in un limbo metafisico.
Quando finalmente si risveglierà dal coma, Adelmo scoprirà di non aver più l’uso della parola. Balbetta frasi istintuali, apparentemente illogiche, oracoli filosofici, deliri poetici. Vive confinato su una  poltrona che rappresenta il suo universo materiale, alternando fasi oniriche a ritorni amari nella realtà.
Parla solo con  Carminia, una cameriera anziana, sua complice, con cui divide le paure, l’incapacità di affrontare la vita come l’aveva vissuta sino a quel momento.
Emarginato dalle figure genitoriali, Padre e Madre, assenti, immerse e confuse in un vortice di apparenze perbeniste e fregole mondane, Adelmo maturerà un proprio concetto di esistenza chiuso, introverso ed allo stesso tempo infinito, un algoritmo che dell’indifferenza può essere il principio, ma non la fine.
Un’evoluzione al contrario quella di Adelmo.
Non comunque, una involuzione. O, forse, nel senso dell’oltre, del puro noema, un’alienante visione eidetica del proprio vissuto.
Darwin ne sarebbe rimasto angosciato
By Michele Barbera 

sabato 17 gennaio 2015

IL CORAGGIO DI GRETA E VANESSA E LE VERITA' MANCATE


Quanti volontari italiani ci sono nel mondo? Quanto valore ha la loro opera per le popolazioni che aiutano in silenzio, giorno dopo giorno? Quanti di essi hanno perso o rischiato di perdere la vita? Ma, soprattutto, perché lo fanno?
Sono domande importanti che ognuno dovrebbe porsi prima di parlare a sproposito sulla liberazione di Greta e Vanessa. 
Ne ho conosciuti diversi di volontari e cooperatori, missionari e non, che negli angoli più sperduti della Terra, in villaggi dal nome improbabile ed impronunciabile, spendono le loro energie in favore degli ultimi. Li ho sempre ammirati ed invidiati. Ed ho sempre pensato che questi angeli devono avere qualcosa di speciale. O devono essere semplicemente pazzi d’amore per gli altri, incoscienti a tal punto da annullare non solo ogni egoismo, ma anche ogni paura.
Greta e Vanessa sono vittime inconsapevoli di un inutile scandalo mediatico. Come se la solidarietà potesse avere a che spartire con la crisi che attanaglia l’Italia o con le tasse che ci opprimono o con i sperperi di una classa politica in cerca d’autore.
Greta e Vanessa, due giovani entusiaste di fare “qualcosa”. Con la testa ad un progetto umanitario in grado di tradurre in opere concrete, in gesti, gli ideali che avevano in testa.
La situazione in Siria è critica. Siamo in zona di guerra. Tutti sappiamo che chi va là, per professione, per dovere, o semplicemente per dare un aiuto umanitario, rischia la vita. E sul serio.
Cinque mesi e mezzo di prigionia non sono uno scherzo. Sono un incubo. Qualcosa poteva andare storto e oggi avremmo rimpianto due ragazze vittime dei loro sogni. 
Valutiamo questo, prima di criticare.
Ho conosciuto, per ragioni strettamente professionali, anche uomini appartenenti ai nostri servizi. Non ho mai avuto la sensazione di avere a che fare con qualche Rambo palestrato con i muscoli gonfiati da intrugli estrogenetici, né con dandy playboyzzati stile 007. Sono poliziotti e carabinieri con la testa sulle spalle. Gente abituata - prima di muoversi - a soppesare ogni rischio, sapendo di avere a che fare con criminali di ogni risma e specie, terroristi compresi. Quando hanno avuto la sensazione che io potessi lontanamente essere in una situazione di rischio me li sono trovati davanti con il viso pulito ed amico di chi sa il rischio che stai correndo e del fatto che sono disposti a correrlo con te. Questi uomini hanno aiutato Greta e Vanessa. Hanno fatto il loro dovere. Rischiando, là in Siria, mentre noi eravamo a casa con i piedi nelle pantofole e guardavamo il telegiornale.
Nessuno aveva il diritto di condannare queste ragazze alla morte o alla schiavitù.
Molti oggi cercano la verità, pur sapendola o intuendola nella sua più stretta evidenza.
Ma nessuno si rende conto che ad aver perso è sempre il popolo siriano, per il quale, per la perversione mentale e la diabolicità criminale che imperversa in quei territori, anche la solidarietà diventa squallida merce di scambio.

By Michele Barbera

mercoledì 7 gennaio 2015

IL PIACERE DI LEGGERE: “PER LE FIGLIE E PER LE SPOSE” DI PEPPE ZAMBITO


L'amore di Peppe Zambito per la sua terra, per la sua gente, per le sue storie traspare tutto nelle eccellenti pagine del suo “raccomanzo”. Zambito ha una formazione culturale solida, un retroterra fabulatorio di prim'ordine che si è espresso ne “Le figlie di Cristenzio” e ne “Il giorno dell'acqua corrente” oltre ad un'esperienza scenica e teatrale che, come già intuito e segnalato da Camilleri, sa diventare maestra di scrittura.
In quest'ultima opera Peppe Zambito regala al lettore emozioni nuove, racchiuse in un tessuto narrativo ad alta sensibilità.
Incastonati nel teatro naturale delle marne di Torre Salsa, un territorio che non è semplicemente oggetto, ma diventa esso stesso “soggetto” vivo e protagonista, i personaggi del libro affrontano – ciascuno a suo modo -  quel complesso enigma chiamato esistenza. Vite mai facili o banali, che sondano nel quotidiano con intensità acuta e delicatezza di sentimenti che l'autore riesce a mediare con una scrittura agile, accattivante ed appassionata.
Solo leggendo si può comprendere a fondo l'esperienza narrativa che Peppe Zambito chiama “raccomanzo”, in cui i racconti si fondono l'uno con l'altro, i protagonisti si richiamano, rivivono, ritornano e scompaiono, con un movimento ritmato, lento e nuovo che richiama quello del mare, quando la risacca complice e sorniona delle serate estive accompagna certi tramonti infuocati. Il mare, proprio lui. Zambito insegna a guardare oltre le apparenze, ed “oltre”, come dice lui, c'è solo il mare, il mare che non muore mai, la natura aspra e ricca di Torre Salsa che si esprime in essenze preziose, rare, che la saggezza antica trasforma in unguenti lenitivi, prodotti medicamentosi, ricette che arricchiscono l'impianto del raccomanzo e, già di per sé, stimolano appetiti curiosi nel lettore.
Non mi addentrerò nella trama o – forse – nelle mille trame del libro. Voglio lasciare al lettore il fascino di scoprire l'opera, lasciandosi conquistare dalla varietà di registri narrativi che fissa, pagina dopo pagina, fotogramma dopo fotogramma, un microcosmo di personaggi acuti, quasi esoterici come la magara Pippina, la vedova Onofria, vittima della convenzioni sociali, il clandestino Alif, un “invisibile” che rivendica il suo diritto a sognare, o Giorgio, tormentato e contraddittorio, eppure fragile nella sua sensibilità. Dirò solo, richiamando la bellissima prefazione di Anna Burgio, che nel raccomanzo “le normali circostanze della vita possono diventare anomalie paradossali, mentre le piccole grandi follie di un essere umano possono venire accolte con la naturalezza che si riserva alla più tranquilla quotidianità”.
Del resto siamo o non siamo nella terra di Pirandello?
By Michele Barbera